Gli atti persecutori non sono meno gravi di una violenza fisica. Gli atti persecutori che scatenano ansia, disagio, sofferenza fino a costringere una persona a modificare le proprie abitudini di vita, non valgono meno di un pugno o uno schiaffo. Ogni donna che subisce comportamenti ossessivi, pedinamenti, intimidazioni, vessazioni psicologiche, non può essere lasciata sola e ha il diritto di vedersi tutelare nelle sedi opportune. Così come, chi la ossessiona e si macchia di quel reato (perché lo ricordiamo ad alta voce, gli atti persecutori sono un reato), non deve essere solo sottoposto ad un giudizio in Tribunale ma deve poter essere inserito in un percorso terapeutico che lo aiuti a capacitarsi di un principio indiscutibile: la libertà esiste anche per una donna.
Lo sostengo con forza da anni e continuo a farlo ogni giorno, anche alla luce di una recentissima sentenza di condanna da parte del Tribunale di Teramo nei confronti di un uomo di 67 anni completamente impazzito per una donna. Lei diventa la sua vittima nel momento in cui lo rifiuta, lo respinge. Ecco. Una donna dovrebbe essere libera di scegliere. Lo è. Ma non per un uomo ancorato al retaggio della donna vista come proprietà. Una donna è libera. E un uomo deve poterlo maturare, realizzare, accettare. Questo 67enne aveva pedinato, perseguitato e stalkerizzato una donna per più di un anno e mezzo, inondandola di sms e telefonate, facendole degli agguati fuori dal posto di lavoro, sbarrandole la strada davanti casa e seguendola mentre si spostava in macchina. Un incubo. Unica colpa di lei? Non volere una storia d’amore con lui. Neanche una prima denuncia lo aveva scoraggiato. Lei ne ha presentata un’altra, poi il processo, ora la condanna di primo grado. Ma il punto è proprio qui: quegli atti persecutori subiti per mesi e mesi l’hanno costretta a convivere con un perenne stato di ansia, con la paura di ritrovarsi quell’uomo ovunque, fino a modificare, forzatamente, le proprie abitudini di vita. Il gap da superare è proprio questo: la difficoltà cronica di riconoscere ed accettare la parità e la libertà dell’altro, uomo o donna che sia.
Un atto persecutorio è negazione di libertà e potrebbe essere la drammatica anticamera di una tragedia, l’ennesima in questo Paese alla voce “femminicidi”. Un bollettino di guerra davanti al quale non basta un’aula di giustizia. Non bastano le iniziative e i rituali dell’8 marzo, non bastano scarpette e panchine rosse, non bastano gli incontri – spot a scuola. Ben vengano, chiaro. Ma non bastano. La libertà è un diritto. La negazione di un diritto va punito, ove necessario e previsto dalla legge. L’incapacità di accettare il diritto alla libertà: questo va affrontato seriamente e subito, con gli strumenti psicoterapeutici più adatti. Dire donna è dire… Libertà. E non solo un giorno all’anno.
Manola Di Pasquale
Presidente PD Abruzzo