Le parole sono importanti e da esse, dalla scelta che ne facciamo, dipendono i contenuti che vogliamo veicolare. Da mesi si parla in Italia di Recovery fund, il piano di azioni messo in campo dall’Unione Europea per contrastare gli effetti economici della crisi post pandemica e che sarà declinato dagli stati membri in Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR), in relazione alle risorse (209 miliardi per l’Italia) che ognuno avrà disponibili. Tali piani si basano su una parte consistente per tutta l’Europa di nuovo debito pubblico, che dovrà essere pagato negli anni futuri da tutti noi. Il debito non è per natura negativo, laddove esso venga usato per il bene comune, secondo la metafora del buon padre di famiglia per mandare un figlio all’Università e non per passare le serate in osteria.
Nel discorso avviato in Italia intorno ai fondi per la ripresa economica, sui giornali, sulle tv, sui comunicati stampa di maggioranza e opposizione, per fortuna non sui documenti ufficiali, il titolo Next generation EU adottato dall’Unione è diventato Recovery fund, non a caso ma perché le dinamiche socio politiche e imprenditoriali del nostro paese sono ancora governate da una generazione, che in questo momento chiede ristori di patrimoni piuttosto che investimenti sul futuro, che spinge la spesa, in definitiva, sulla conservazione dello status quo. In simili contesti la politica poco può da sola. Messi da parte i soldi per aiutare chi è stato davvero colpito duro dalla pandemia, non con semplici sostegni economici, ma con programmi, tutto il resto avrebbe dovuto essere oggetto di decisioni condivise con chi il debito lo pagherà, cioè con tutti quelli che oggi hanno meno di quarant’anni.
A livello nazionale i piani e i programmi hanno rispecchiato gli obiettivi della Commissione Europea, come sostegno ai giovani neet, transizione ecologica, investimenti sui processi di digitalizzazione, ma quanto realmente questo inciderà a livello locale? Il piano nazionale non è stato declinato ai livelli regionali in maniera specifica, non c’è stato confronto in merito, e i più giovani sono stati esclusi dal dibattito perché fuori da ogni ruolo decisionale; la politica locale sembra essere interessata più della possibilità di spendere, che di come farlo in modo produttivo ed efficace. Ci si è affidati ai tecnici che hanno proposto le solite ricette dettate dagli equilibri esistenti; formazione per i giovani, bene, ma esattamente quale? Quella che prepara sulle competenze future o quella proposta dagli istituti e dai formatori che abbiamo? Ristori, ben vengano, ma utilizzati per far sopravvivere tutti a tutti i costi o piuttosto, laddove necessario, aiuti sistemici per chiudere e ripartire? Ristori indirizzati a chi ha perso davvero o a tutti indistintamente e indipendentemente dai patrimoni bancari in modo da aumentare un consenso a breve termine? Chi ha risorse proprie insomma condividerà gli investimenti per la ripresa? Saremo capaci di gestire modelli pubblico-privato tanto interessanti da coinvolgere quelli che negli USA chiamano “business angels”, ovvero da sostenere la nascita di startup e realizzare i sogni visionari dei più giovani?
Non sono risposte che arriveranno da sole, né sono risposte che si possono delegare in toto alla politica, abdicando al ruolo di cittadini per diventare critici da web, pronti a giudicare tutto senza rischiare nulla. Occorre invece che la nuova generazione di ventenni, trentenni e quarantenni, con un’educazione mediamente elevata e consapevole, prenda in mano il proprio futuro e si sporchi, si comprometta con la politica, con l’arte di mediare, abbandoni il radicalismo fintamente morale, che vale fino al momento in cui si toccano i propri interessi economici ed entrino nei partiti, li animino, ne fondino di nuovi se quelli vecchi proprio non li digeriscono e lo facciano per costruire, per essere “costruttori del futuro”, come ha ricordato il Presidente Mattarella, non distruttori. Unirsi contro qualcuno è più facile che unirsi per qualcosa, per un’idea, ma non porta lontano.
Lancio dunque un appello alla Next generation UE, a quelli che dovranno guidare i processi futuri, un appello alla partecipazione, alla discussione, al compromesso maturo, alla presa di coscienza che ognuno deve iniziare ad occuparsi del proprio futuro, in un Paese che negli ultimi decenni non ha pensato a loro, che si è preoccupato di pensioni anticipate piuttosto che agevolare l’accesso al mercato del lavoro, di sgravi di cartelle per chi non aveva pagato le tasse (finendo per essere utile oltre che a coloro che ne avevano davvero bisogno, anche ai disonesti), di rientro dei capitali sottratti al fisco, e quindi a scapito della sanità, dell’istruzione, del lavoro.
Qualcuno mi ha detto che questa nuova è una generazione di zombie, a cui basta un telefonino, Netflix, una connessione internet e qualche soldo dallo stato per comprare su Amazon e ai fast food. Io credo invece che sia una generazione incredibilmente sensibile, che merita un Paese migliore di quello che gli stiamo offrendo, un Paese che offra loro opportunità, fiducia nel futuro e dunque serenità e strumenti per ripagare quello che, solo così, sarà un investimento per il domani e non un cappio stretto attorno al loro collo.
A loro dico però, scendete in campo, coalizzatevi, fate sentire la vostra voce e pretendete di essere attori protagonisti del vostro futuro.
Stefano Palumbo
Capogruppo del PD in Consiglio comunale all’Aquila