Il 9 marzo scorso la Commissione Affari Costituzionali alla Camera ha dato parere favorevole al testo relativo allo ius scholae che prevede il riconoscimento della cittadinanza a quei minori di origine straniera nati in Italia che abbiano conseguito un percorso scolastico di almeno 5 anni, oltre che per i minori giunti in Italia prima di aver compiuto 12 anni.
Il luogo in cui si vive non è patrimonio personale bensì patrimonio umano e, purtroppo, l’Italia si caratterizza per una forte restrittività dal punto di vista delle questioni attinenti alla trasmissione della cittadinanza; tra lo ius soli, per il quale l’unico criterio è il solo luogo di nascita, e lo ius sanguinis – il figlio di stranieri non ha alcun diritto politico, anche se è nato e cresciuto nel paese, lavora e parla la lingua del paese – il nostro paese applica il sistema di ius sanguinis in modo quasi puro, così i minori nati in Italia da cittadini stranieri non sono cittadini italiani.
In un contesto di evidente contraddizione, non è sufficiente l’essere nati in Italia da genitori che, sebbene stranieri, vivono stabilmente nel nostro paese, per vivere, nel luogo in cui si è nati, da cittadini.
Sebbene al raggiungimento della maggiore età sia possibile fare richiesta di cittadinanza, quando le lungaggini burocratiche non penalizzano l’esito favorevole, comunque decine di migliaia di bambini e ragazzi, nati e cresciuti in Italia, sono esclusi per diversi anni dalla cittadinanza e dai benefici che ne conseguono in termini di welfare.
Con la proposta dello ius scholae si è creata una connessione importante tra la scuola e la cittadinanza; così il luogo eletto della formazione e della crescita, si confronta con storie e provenienze diverse e genera civiltà stabilendo un rapporto privilegiato tra cittadinanza italiana e percorso scolastico.
Il tema non è nuovo per il dibattito politico e nel recente passato, si è concretizzato in proposte diverse nel solco della volontà di giungere ad una mediazione tra posizioni, spesso, molto distanti. In questo senso, l’ultima proposta, approvata il 9 marzo scorso, è riuscita ad allargare il consenso oltre il Partito democratico, che ha sempre sostenuto questa visione, oltre le naturali contrapposizioni derivanti da visioni diverse.
E’ evidente che siamo solo al primo passo di un tentativo di sanare quella che la nostra responsabile nazionale, Manuela Ghizzoni, definisce, giustamente, una grande ingiustizia poiché, fuori da ogni logica, si privano della cittadinanza italiana decine di migliaia di ragazzi.
Non sono mancate le polemiche di chi, proponendo analisi superficiali spesso intrise di pregiudizi, parla di “scorciatoie” e di utilizzo strumentale della scuola che, invece, secondo la proposta, è lo strumento privilegiato che permette l’ottenimento della cittadinanza a minori, scolarizzati, che hanno frequentato uno o più cicli scolastici.
Le drammatiche vicende di questi ultimi giorni, hanno risvegliato il dibattito sulla pace e, in molti, si è concordi nel considerarla non solo una mera assenza di guerra ma quanto piuttosto una visione, un percorso di costruzione di quelle condizioni che consentono la Pace: cercare la giustizia, eliminare le disuguaglianze e le povertà, creare integrazione sono le vie privilegiate da percorrere perché la pace non sia solo un buon concetto da rispolverare alla bisogna.
E quali luoghi migliori della cultura e della scuola per contestualizzare questo importante salto di qualità, in termini di civiltà, che renderebbe meno anacronistiche le posizioni del nostro paese?
Annalisa Libbi
Responsabile Istruzione PD Abruzzo