Il lavoro agile, più comunemente conosciuto come smart working, ha assunto un ruolo centrale nel nostro Paese durante la fase pandemica. Il legislatore, infatti, ha imposto ai datori di lavoro pubblici e privati, di disporre modalità di lavoro a distanza che, pur essendo già previste dalla Legge 81 del 2017 e dai contratti collettivi, fino ad ora non avevano trovato un così ampio spazio applicativo. La necessità di limitare l’accesso ai luoghi di lavoro ha condotto molti lavoratori, ma anche molti datori di lavoro, a ripensare le classiche forme di organizzazione aziendale uscendo dagli spazi fisici e da orari prestabiliti, ed utilizzando gli strumenti informatici e digitali.
In questo modo, l’attività lavorativa può essere svolta, previo accordo con il datore di lavoro, “senza precisi vincoli di orario o di luogo”. Ciò vuol dire che il lavoratore “agile” non è vincolato a tempi o luoghi unilateralmente imposti dall’imprenditore, ma può decidere liberamente, nell’ambito dell’accordo raggiunto con il suo datore di lavoro, quando eseguire le sue mansioni.
La sperimentazione intensa dello smart working dell’ultimo anno ha svelato un ulteriore profilo di incentivazione al suo ricorso: quello della sostenibilità ambientale. La riduzione degli spostamenti dei lavoratori verso i luoghi di impresa, e viceversa, ha impattato positivamente sulla mobilità, riducendo traffico ed inquinamento.
La drastica modificazione dell’esecuzione della prestazione lavorativa, nelle realtà produttive caratterizzate dalla digitalizzazione dell’attività, potrebbe dunque condurre ad un riassetto dell’organizzazione aziendale, favorendo le prestazioni a distanza e, magari, incrementando la produttività dell’impresa con contestuale agevolazione dell’organizzazione della vita privata del singolo. Ciò è pensabile, ovviamente, solo in relazione alle realtà imprenditoriali che non necessitano della presenza del lavoratore nei locali dell’azienda, e la cui attività può essere svolta in remoto utilizzando software messi a disposizione dal datore di lavoro.
Ricorrere allo smart working anche in assenza delle condizioni di emergenza che hanno caratterizzato gli ultimi mesi porterebbe, in ogni caso, anche ad affrontare la questione della digitalizzazione. In particolare nel pubblico impiego, evidentemente, è emerso il problema dell’inadeguatezza della strumentazione da mettere a disposizione dei lavoratori, i quali hanno dovuto far ricorso, nella maggior parte dei casi, all’utilizzo di mezzi informatici propri. Nonostante il Codice dell’Amministrazione Digitale sia entrato in vigore già dal 2005, in ottemperanza a quanto previsto dalla normativa comunitaria, lo sviluppo delle amministrazioni pubbliche è in notevole ritardo: l’Italia si posiziona al 25° posto tra i 28 Stati membri dell’UE e le sue prestazioni si collocano nel gruppo dei paesi che conseguono i risultati inferiori rispetto alla media europea.
Sarà importante, dunque, capire quale sarà il futuro dell’applicazione del lavoro agile in tutti i settori, sia privati che pubblici, al termine della fase pandemica: quello che in passato è stato vissuto come eccezione potrebbe diventare, se efficacemente applicato, uno strumento diffuso di organizzazione.
Lisa Vadini
Responsabile Missione Giovani e Lavoro PD Abruzzo